mercoledì 23 marzo 2011

Oktorinerfest

Una birra e una salsiccia... Una birra e una salsiccia...
Non è una sequenza di Altrimenti ci arrabbiamo. È che ogni tanto, in giro per Torino, spuntano fiere itineranti del gusto, all'aperto. Ed è una girandola di brasserie e girarrosti, quella che ti allieta la vista e l'olfatto, se per caso ti capita di passar da quelle parti (e io mi ci trovo sempre, guardacaso). Oppure potresti vedere qua e là allegre famigliole di salami – in tutti i sensi – formaggi, arrosti fumanti, affettati e ogni salsa nota e ignota all'uomo. Raro però che il cibo sia solo: e così si passa dal profumo di porchetta a essenze e saponette, e più in là a plastiche, resine e gomme dei giocattoli. Caos organolettico totale.
Eppure lì Mr. Colesterolo è in agguato: aspetta solo che ti lasci tentare dai gastroeffluvi... e voilà, per lui è fatta (e per te pure).
Una birra e una salsiccia... Una birra e una salsiccia...

Profonda notte

All'estivo “Dario Argento by night 2009” – se così vogliam definirlo – io c'ero. Evento unico e irripetibile, direi. Si proiettò in piazza CLN Profondo rosso, accompagnato musicalmente dal vivo. Per una volta, quella via Roma così inutilmente geometrica e razionale è diventata un cadavere che per qualche miracolo esce dalla bara (metafora in tema). Gli spettatori, o seduti sulla carreggiata o sotto i portici, avrebbero riempito un liceo. Io, zombie insofferente e girovago, rimpallavo da un baretto all'altro (ma senza consumare), fra l'inquietante carnaio. Aggredito dai decibel fuori misura del palco. La fontana allegorica del Po e della Dora, dietro il maxischermo, che se li (as)sorbiva tutti, dal primo all'ultimo.
In sordina, solo gli sguardi fra tanti sconosciuti. Lì per sentirsi urlare nelle orecchie da donne tagliuzzate. Nella piazza che fu davvero un set del film.

sTOici taurinensi

In principio erano le stoá, oggi sono i portici. Torino non ne ha l'esclusiva, beninteso, né di certo la maggior estensione (pensate a Bologna). Ma proprio perché ne ha pochi ma buoni, si possono confrontare subito. I principali sono quelli di via Po e via Roma, o facciam finta che sia così (suspension of disbelief docet).
Salta agli occhi che sono due pianeti diversi, e non solo architettonicamente. Via Po è ottocentesca e romantica, via Roma novecentesca e fascista. Le differenze le noterebbe anche un cieco. Tanto raccolta e armoniosa una, quanto squadrata e alienante l'altra. Librerie, bancarelle e profumi di vita in una, fredde e asettiche vetrine di negozi d'abbigliamento nell'altra. Volti pregnanti, ma solo in una delle due.
Via Po è l'ideale – e reale – proseguimento di via Pietro Micca e via Cernaia, è la Prospettiva Nevski di Gogol: brulicante di grottesco e adorabile kitsch. Una è la Vita, l'altra un'arida luna.

TO-FI (H2O) = 1000 a 1

Firenze, culla della civiltà.
Eppure nella patria di Dante, è un dato di fatto, le fontanelle pubbliche scarseggiano di brutto. Almeno fino a pochi anni fa, ammesso che la situazione idraulica sia cambiata. Ed è un paradosso, vista la vocazione della città al turismo. L'unica che avvistai, triste, solitaria e apparentemente morta e mai risorta, si ergeva sbilenca su una banchina della stazione di Santa Maria Novella. Insomma non certo una bella cera, poveraccia, posto che da lì vi sgorgasse qualcosa.
A Torino, viceversa, non si può dire che manchino. Quasi tutte verdi e cornute, visto il simbolo della (mia) città. In quest'ottica, a Firenze dovrebbero essere gigliate. Ma come si diceva, là niente fontane. Nemmeno alla stazione. I gigli, là, sbocciano solo nelle vetrine di Ponte Vecchio, sottoforma di preziosi abbaglianti. Ma non c'è campanilismo, in questo. Tant'è che mi chiedo se sia davvero razionale, il fiorire di così tante fontane nella mia città. Tradotto: inutile spreco d'acqua. O troppo o niente, insomma. Diciamo che qui non rischi di morir di sete. Specie in periodo di assiduo pellegrinaggio “sindonico”, dove di turisti e torpedoni presso le rosse Torri (Palatine), ce n’è un bel viavai.
Dar da bere agli assetati, disse qualcuno (restando in tema). Ma se ci fossero anche rubinetti e chiavette sarebbe meglio, dice qualcun altro.
Torino, culla delle fontanelle.

lunedì 21 marzo 2011

Agostino San

Un uomo che va mendicando la nomèa di eloquente, davanti a un giudice, uomo esso pure, in mezzo a una folla di uomini, mentre con odio feroce inveisce contro il suo nemico, pone tutta la cura a non pronunziare erroneamente omines e non si preoccupa se il suo pazzesco furore toglie di mezzo un uomo dal consorzio degli uomini.

Sant'Agostino, Le confessioni di un peccatore, I, XVIII


Voglio ricordare le turpitudini del mio passato e la corruzione carnale della mia vita; non già che le ami, ma per amar Te, o mio Dio. [...]
Durante la mia adolescenza bruciai di passione per piaceri bassi, osai inselvatichirmi in amori svariati e tenebrosi; la mia bellezza ne fu inquinata, e per la brama di piacere a me stesso e agli occhi degli uomini diventai putredine agli occhi tuoi.

Sant'Agostino, Le confessioni di un peccatore, II, I

lunedì 7 marzo 2011

Italo-bovesano

Qual è la mia città?, potevo pure intitolare. Già, qual è? Quella natale è Torino, ma quella quasi adottiva è Boves. Rispettivamente, Golia e Davide. Ma solo in dimensioni fisiche, non storiche. In tal senso, anzi, mi sa che le parti si invertirebbero. Boves, caso unico in Italia, è la sola città a essersi vista insignita sia della medaglia d'oro al Valor Civile che al Valor Militare. E girandola, te ne accorgi. Sotto il portico del municipio, accanto alle mappe degli incendi nazisti, sono scolpiti nel marmo centinaia di nomi. Le vittime del fuoco ariano del comandante Peiper, e non solo quello appiccato. Niente del genere, a Torino. O magari c'è pure, ma più in piccolo, disperso in tanti rivoli, piazzette e viuzze. A Boves, il passato non può, invece, non essere presente ai cittadini. Di piazze principali ne ha solo due, e in entrambe monumenti che lo ricordano.
Forse dovrei correggermi, e invertire davvero i nomi...
Torino e Boves: Davide e Golia.

domenica 6 marzo 2011

ELOGIO DELL'IDIOZIA - Fazio in&out

Una settimana fa, durante il programma di Rai 3 Che tempo che fa, fra le altre ha avuto luogo l'intervista a Ricky Martin. Che dire? Anche stavolta l'innominabile – conduttore? giornalista? imitatore? – ligure non si è smentito, facendosi anzi riconoscere per quello che è (ben poca cosa, diciamolo). Una delle poche domande d'obbligo che chiunque avrebbe rivolto oggi al cantante, anche un deficiente, era quella sul suo outing, coming out, o come accidenti si dice. Insomma sulla sua recentissima dichiarazione di omosessualità (detta così sembra un certificato in Comune, ma vabbè). Domanda non per forza maliziosa o cattiva, beninteso: anche perché l'innocuo Innominato, cattivo proprio non riesce a esserlo, sarebbe chiedere troppo. Solo per sapere dalla sua viva voce le reazioni in patria, all'estero, dei suoi fan e non, e infine il perché di un comunicato tanto tardivo (anche se è intuibile). Sarebbe stata una semplice domanda, civile e tutto sommato normalissima, senza ipocrisie. Sarebbe stata, appunto. Perché l'Innominato tale domanda non ha osato non dico farla, ma nemmeno sfiorarla alla lontana. Gli ha chiesto un sacco di stronzatine e cazzatucce scontate (tanto per cambiare), ma della notizia che riguardava l'intervistato più da vicino – anche in termini temporali, ripetiamolo – nemmeno l'ombra. Questo, per rispondere a chi asserisce che in Italia l'omosessualità non sia più un tabù.
Ma niente paura, l'Innominato ha tutto il tempo per rifarsi. Anche noi in Italì abbiamo un caso analogo, cioè Tiziano Ferro. Attendiamo dunque trepidanti l'intervista del Ligure con quest'ultimo: potremo così scommettere favolose somme clandestine che dalla prudente bocca del Nostro non uscirà nemmeno una volta l'esecranda e obliterabile parola “gay”. Famiglia semantica inclusa.

sabato 5 marzo 2011

Dream House

Frescobaldi s’arrese all’evidenza: stava sognando. Solo nei sogni un tendone da circo ti si sgonfia davanti come un sufflè, e la piazza che l’ospitava si tramuta in fauci con tanto di denti grossi come menhir, inghiottendo il tendone divenuto palla bicolore.
Nell’abisso subentrato, gli parve di scorgere dei vermi verdi col sorriso. Sorridevano a lui? Altra assurdità.
Si sentì toccare il braccio sinistro. Correzione: mordere. Qualcosa gli stava azzannando il bicipite.
Vibrò un pugno e lo colpì, sortendo un lamento a metà fra il grugnito e il coccodè. Aveva atterrato un corpo morbido, gommoso.
Ritrasse la mano, tinta di blu fino al polso. Poi abbassò gli occhi verso il “coso”.
Un puffo. Grosso quanto un nano. Scalciava. Il volto sfondato coi lineamenti rientrati, come imploso. Sfigurato e sanguinante.
Con un calciò lo proiettò all’orizzonte.
Non era finita. Associazione d’idee: circondato da funghi giganti.
Più che velenosi, carnivori. Stavolta fare appello alle sue forze per reagire non bastò. Forze non ne aveva più, e si lasciò soffocare da quei corpi spugnosi.
Finché si svegliò.
Controllò il display davanti a sé: terminato il tempo a sua disposizione.
Uscì dalla cabina ancora intontito, barcollando.
’Sta «Dream House» non faceva per lui, decise. Soldi buttati.
Com’era lo slogan? «Dream House: più reale del reale. Se ti abitui, poi ci resti.»
Scosse negativamente il capo. Pubblicità ingannevole delle balle, pensò.
Attraversando il corso, fece solo in tempo a riconoscere il suo investitore: il Grande Puffo con gli occhiali da sole.
La testa, da sola, fu scagliata contro il cordolo del marciapiede.
La Puffmobile inchiodò. Poi ingranò la retro e sgommò via con una ruota viscida e attaccaticcia, un bulbo oculare incastrato nel battistrada.
Chi erano Tantalo e Prometeo, appetto a Frescobaldi? Non avrebbe più smesso di sognare, reincarnandosi in personaggi sempre nuovi.
E sempre uccisi.

venerdì 4 marzo 2011

Intervista col Gatto e la Volpe

Intanto buongiorno a voi, e piacere di conoscervi. Signor Gatto... Signor Volpe...

[Ci stringiamo le mani, anzi le zampe]

V: Altrettanto, altrettanto. Anche se non ce l'aspettavamo, sa?
G: Sa?

In che senso, scusate?

V: Nel senso che ormai pensavamo d'esser finiti definitivamente nel dimenticatoio. Sa com'è, dopo tanti anni che nessuno ti chiama più...
G: Chiama più...

Diciamo che due ragioni essenziali mi hanno spinto a contattarvi per chiedervi quest'intervista. La prima è che sono da sempre un “Pinocchiofilo”, se così si può dire. Un fan del burattino più famoso del pianeta, insomma. La seconda si ricollega invece a un evento recente, di qualche mese fa che vi riguarda entrambi, e che mi ha scombussolato non poco. Ma andiamo con ordine. Che ricordi avete delle Avventure di Pinocchio di Luigi Comencini, sceneggiato storico della Rai tratto dall'omonimo racconto di Collodi? Vi chiamarono ad assistere alle riprese, no?

V: Non solo. Sul set di Comencini facemmo anche da “consulenti”, in un certo senso, per i due attori che ci interpretavano.
G: Pretavano!

Come no, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Sapete che da piccolo era il mio sogno nel cassetto, conoscere un giorno quei due matti? Li adoravo, soprattutto Franco. Sogno che, purtroppo, in quel cassetto ci è rimasto. Però voi due li avete conosciuti, quindi potete levarmi qualche curiosità su di loro. Per esempio, aldilà del valore comico-artistico della coppia, com'erano umanamente?

V: Eran due star della commedia all'italiana – sia pur di serie B, quella delle “parodie” – e come tali si sentivano. Mantenevano le distanze, ecco.
G: Ecco!

Insomma se la tiravano, per usare una locuzione giovanile d'oggi? Questo mi state dicendo?

V: Un po' sì. Incutevano persin un certo timore reverenziale, direi.
G: Rei!

Certo. Perché non scordiamoci che, per usare un altro termine in voga oggi, i loro film erano puntualmente dei blockbuster. Insomma al botteghino facevano sempre il pieno. E di ciò ne andavano, giustamente, fieri. Malgrado le critiche non proprio lusinghiere dell'intellighenzia.

V: Era senz'altro il duo comico del momento, quello di maggior successo commerciale, di pubblico. Non per niente Comencini li scelse.
G: Else!

Un altro grande attore italiano che mi sarebbe piaciuto conoscere era Nino Manfredi, che nello sceneggiato interpretava Geppetto. E qui stiamo parlando di commedia all'italiana di serie A, trattandosi di uno dei cosiddetti “colonnelli” del genere. Ecco, com'era davvero Manfredi, sia come attore che come uomo?

V: Un perfezionista e un pignolo. Gran professionista della recitazione, su questo non si discute. Però non così simpatico e alla mano come potrebbe sembrare. Un po' tritapalle, insomma.
G: Somma!

E così, in un sol colpo mi avete fatto crollare tre miti. Scherzo. E veniamo ora al piccolo protagonista platinato di Pinocchio. Pinocchio, appunto, interpretato dall'esordiente assoluto Andrea Balestri. Che tipo era, e che rapporti aveste con lui?

V: Ci abbiam parlato poco. Non stava mai fermo, pareva un furetto. Direi che la parte del disubbidiente matricolato gli veniva davvero naturale.
G: Turàle!

Un saltapicchio, l'avrebbe definito Manfredi.

V. Immagino di sì. Anche se non so cosa voglia dire.
G: Ire!

Be', ma ditemi qualcosa di più su questo Andrea Balestri. Un retroscena, una chicca. Che chiaramente non sia il solito tormentone “Balestri versus Lollo”, che francamente conosciamo alla nausea e che sa un po' di stucchevole déjà vu. Tipo “Rocky Balboa contro Ivan Drago”, per capirci.


V: Come si direbbe oggi, era uno not politically correct. Incasinava tutta la troupe, non solo la Lollobrigida. Il classico Pierino la peste o Giamburrasca della situazione.
G: Azione!

Che fosse un po' casinista è risaputo. Ma c'è qualche aspetto ancora poco noto dell'ex enfant prodige di Pisa? Qualcosa che poteva sapere solo chi ha bazzicato lo stesso set?

V: Temo di no, sa. In fondo era un ragazzetto come tanti, coi pregi e i difetti di quell'età.
G: Tà!

E forse in tal senso bastano le parole stesse di Andrea Balestri adulto. Ricordando con nostalgia il periodo in questione, ebbe a dire che aveva vissuto quell'avventura come un bel gioco e nulla più. Un gioco, forse, durato troppo poco per l'allora giovanissimo attore, potremmo concludere. Vabbè che un bel gioco dura poco, però...

V: In effetti.
G: Etti!

Passerei adesso all'altra riduzione cinematografica di Pinocchio. Ossia il film diretto e interpretato, quasi trent'anni dopo, da Roberto Benigni.

V: [Gesticolando nervosamente e facendo boccacce oscene] Per carità! Non ne parliamo proprio.
G: Oprio!

Leggo in voi del disappunto, nel ricordare questa pellicola.

V: Dica pure disgusto, prego! Una cagata pazzesca, direbbe qualcuno. Per paradosso, tanto zuccherosa da riuscire persin volgare. Inguardabile.
G: Abile!
V: S'era persin pensato di fargli causa, al bischero stempiato. Grave danno della nostra immagine, capirà. Ma i nostri legali ci sconsigliarono d'intentare alcunché. Ci avrebbe “scodati” di brutto, dissero. Nemmeno noi avremmo potuto sperare di spuntarla, contro quello. Troppo astuto e navigato anche per il Gatto e la Volpe.
G: Volpe!

Capisco. Quindi inutile chiedervi se avete gradito l'interpretazione dei Fichi d'India. Ai quali, lo ricordiamo, affidarono i vostri ruoli.

V: Appunto, inutile chiedercelo. Rischieremmo il diapason della volgarità, lo zenit del turpiloquio.
G: Loquio!

Mi risulta che anche stavolta foste ospiti-consulenti sul set, o sbaglio?


V: Sì, ma ce ne andammo quasi subito, per protesta. Dipingerci così, ma andiamo! Un po' di rispetto per due seri professionisti come noi! Benigni farebbe bene a cambiar mestiere. Anche i Fichi d'India, beninteso.
G: Inteso!

Anche perché molti non sanno che voi due avete comunque alle spalle una formazione scolastica che nulla ha da invidiare a quelle dei più grandi manager italiani. Lei, Volpe, è laureato, giusto?

V: Sì, in Economia e Commercio.
G: Mercio!

Be', chiaramente.

V: 125 su 110 e lode, più bacio accademico con dignità di pubblicazione internazionale. La mia tesi s'intitolava Editoria italiana contro le mafie tradizionali: una concorrenza sleale.
G: Sleale!

Congratulazioni per il punteggio. Davvero invidiabile e difficilmente raggiungibile.

V: Pressoché inarrivabile, vorrà dire. Ho anche conseguito un master a Jena, sul declino della credulità popolare come fonte di reddito. Wanna Marchi docet.
G: Chi docet!

E il signor Gatto che studi ha fatto, se mi è lecita la rima?

V: Oh, lui è perito.
G: Ito!

In effetti non lo trovo benissimo, così pallido e spelacchiato... Ma dopo il film di Benigni, veniamo ora ad altre dolenti note. La vostra cooperativa ecosolidale avviata di recente, la GaVo. Quando l'ho saputo sono allibito. Possibile che davvero Gatto e Volpe, gli imbroglioni più celebri di sempre, vogliano diventare persone perbene e... oneste? Ditemi che è un incubo e svegliatemi!

V: [Risate] Spiacenti di deluderla ma è la realtà. Siam stufi di truffare e prender per il culo il prossimo. Inoltre abbiamo tutt'e due una certa età, s'ha da pensare al nostro futuro pensionistico. Oggi si sdoganano cani e porci, non vedo perché non dovrebbero farlo un gatto e una volpe!
G: 'Na volpe!

Insomma folgorati sulla via della Libera Impresa Non Criminale?

V: Esatto. Basta con le telemagagne e le polizze truffaldine, gl'imbonimenti telefonici, i finti corsi d'aggiornamento e il gioco delle tre carte.
G: Carte!

Ripensateci, ve ne prego. C'è ancora bisogno di voi. Soprattutto in questo momento critico, in cui pullulano truffatori prevedibili e imbroglioni improvvisati e dilettanti. Oggi più che mai serve la creatività unica di un Gatto e una Volpe. Servono modelli vincenti e collaudati. Serve l'esempio con la E maiuscola.

V: [Risate] Grazie per i complimenti, ma siamo irremovibili. Largo ai giovani.
G: Òvani!

Ma a proposito, il famoso Orto o Campo dei Miracoli che dir si voglia... Esiste o è esistito davvero? Son curioso.

V: Sì, dalle parti di Poggibonsi, mi pare. Senza volerlo, ci suggerì l'idea un canino setoloso intento a disseppellirsi l'osso. Vede? Anche da quadrupedi così stupidi si può cavar qualcosa di buono!
G: Uono!

Quanti ne avete fregati con quell'idea superba, oltre a chi sappiamo? Ne detenete tuttora i diritti di sfruttamento, se non erro.

V: Un cento/centoventi persone, se ben ricordo. Un successone, sì sì. Poi purtroppo si sparse la voce e... addio affari. Dietro segnalazioni anonime, dei magistrati indagarono e scoprirono la truffa.
G: Uffa!

Eppure allora non c'erano né Striscia la notizia, né Le Iene, né Mi manda Rai 3. Chi fece scoppiare la bomba mediatica?

V: Be', ma gli spioni guastafeste son sempre esistiti, dalla notte dei tempi. Come diceva il bandito Cheyenne ad Armonica in C'era una volta... il West, replicando alla battuta di questo che gli aveva appena obiettato che ai tempi di Giuda non c'erano ancora i dollari... «Ma i figli di puttana... sì!»
G: Tana... sì!

Fenomenali, davvero. Anche raffinati cinefili, chi l'avrebbe detto?! Tutti i più grandi truffatori del secolo scorso hanno imparato da voi, i maestri indiscussi della truffa scientifica. Altro che Totò e la Fontana di Trevi, tanto per restare al cinema!

V: Modestamente.
G: Mente!

Vi lascio a malincuore. Chiacchiererei amabilmente con voi tutto il giorno, ma per ovvie ragioni non è possibile. Piuttosto, mi sapreste mica dire che ore sono? Devo aver dimenticato in macchina sia l'orologio che il cellulare, non li trovo più da nessuna parte.

V: Dieci minuti alle cinque, giovanotto. Vuole offrirci un tè al bar qui all'angolo?
G: Angolo?

Volentieri, è un onore. È solo che devo aver scordato pure il portafogli, non trovo più manco quello. Chissà dove ho la testa, oggi. Se mi aspettate vado un attimo in macchina e...

V: [Bloccandomi] No, ci mancherebbe. Chiaramente scherzavo: offriamo noi, è fuori discussione. Ora siamo seri imprenditori: possiam permetterci di scialare un po', di quando in quando.
G: Ando!

Allora chiudiamo ufficialmente questo piacevole e troppo breve incontro; almeno per il nostro pubblico, che fra pochi istanti vi vedrà sfumare. Nella speranza di rivedervi in qualche altra occasione, vi faccio un grossissimo in bocca al lup...

[Occhiatacce gelose da parte di Volpe]

No, volevo dire in culo alla balen...

[Occhiatacce di entrambi]

Insomma, crepi il lupo!

[Largo sorriso di Volpe, mentre ci alziamo dal divano per uscire]

V: Crepi!
G: Epi!