sabato 5 marzo 2011

Dream House

Frescobaldi s’arrese all’evidenza: stava sognando. Solo nei sogni un tendone da circo ti si sgonfia davanti come un sufflè, e la piazza che l’ospitava si tramuta in fauci con tanto di denti grossi come menhir, inghiottendo il tendone divenuto palla bicolore.
Nell’abisso subentrato, gli parve di scorgere dei vermi verdi col sorriso. Sorridevano a lui? Altra assurdità.
Si sentì toccare il braccio sinistro. Correzione: mordere. Qualcosa gli stava azzannando il bicipite.
Vibrò un pugno e lo colpì, sortendo un lamento a metà fra il grugnito e il coccodè. Aveva atterrato un corpo morbido, gommoso.
Ritrasse la mano, tinta di blu fino al polso. Poi abbassò gli occhi verso il “coso”.
Un puffo. Grosso quanto un nano. Scalciava. Il volto sfondato coi lineamenti rientrati, come imploso. Sfigurato e sanguinante.
Con un calciò lo proiettò all’orizzonte.
Non era finita. Associazione d’idee: circondato da funghi giganti.
Più che velenosi, carnivori. Stavolta fare appello alle sue forze per reagire non bastò. Forze non ne aveva più, e si lasciò soffocare da quei corpi spugnosi.
Finché si svegliò.
Controllò il display davanti a sé: terminato il tempo a sua disposizione.
Uscì dalla cabina ancora intontito, barcollando.
’Sta «Dream House» non faceva per lui, decise. Soldi buttati.
Com’era lo slogan? «Dream House: più reale del reale. Se ti abitui, poi ci resti.»
Scosse negativamente il capo. Pubblicità ingannevole delle balle, pensò.
Attraversando il corso, fece solo in tempo a riconoscere il suo investitore: il Grande Puffo con gli occhiali da sole.
La testa, da sola, fu scagliata contro il cordolo del marciapiede.
La Puffmobile inchiodò. Poi ingranò la retro e sgommò via con una ruota viscida e attaccaticcia, un bulbo oculare incastrato nel battistrada.
Chi erano Tantalo e Prometeo, appetto a Frescobaldi? Non avrebbe più smesso di sognare, reincarnandosi in personaggi sempre nuovi.
E sempre uccisi.

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